martedì 7 febbraio 2012

LA BALLATA DEGLI OSSESSI di Riccardo Solari


Con le membra attorcigliate
a quel che è sacro o che è profano
il viaggio scorre lentamente
il viaggio scorre lentamente
nel dannarsi al quotidiano
Chi si inchina ad un sovrano
chi si inchina in vaticano
a un rituale o a un animale
oppure al gesto di una mano
Molti stimano lo speaker
di uno show televisivo
tutti hanno nella mente il loro
monito abusivo
chi ha paura di restare senza un dio
che lo perdoni, chi divide
per nazioni ,bravi brutti belli e buoni
LORO NON RIDONO MAI
STANNO A SE STESSI COME GLI USURAI
LORO NON DICONO MAI
DI ESSERE LA CARNE PER I MACELLAI
COME IMMOBILI NEL TEMPO
CON LA SOLITA POSTURA
CON LA FACCIA DA SPAVENTO
DI CHI AL MONDO FA PAURA
poi c'è invece chi ad esempio
cita sempre le canzoni
altri piu comunemente per rottura di coglioni
Tante sono le risposte dove puoi
infilarci un dio
senza porti la domanda : '' parla lui o parlo io?''
questa regola non scritta è una regola che vale
per chiunque sta nel mondo
per chi al mondo fa il normale
ogni uomo a se stesso contrappone un ideale
si identifica in un gruppo ,
idealizza il bene e il male
senza mai essere lucido
ed un libero neutrale
Le parole non son grida
sono un misero lamento
è come sputare coriandoli
appiccicandoli nel vento·

lunedì 29 agosto 2011

leggende consolatorie..... e il buco nero

pubblicata da Elena Biavaski
31 luglio 2011 alle ore 4.53


Strana la nostra vita! Sin da bambini ci raccontano storie: il lupo,
l'angioletto custode, non dire le bugie,la coscienza,pentimenti,
perdoni e poi la legge,i diritti,la legalita',la patria,il mondo
e l'altro mondo.
Ma tutte queste sono praticamente delle entita' virtuali,
sovrastrutture forse inventate apposta per tenerci buoni,
per irregimentarci,per prevenire sommovimenti anomali e
indipendentistici.

Se ci riflettiamo un pochinoa mente fredda in una notte d'agosto
stranamente fresca e senza vento,in una citta' svuotata,in un
palazzo deserto,dopo i soliti pervasivi schiamazzi del sabato sera
( acquietatesi ,come sempre alle tre e un quarto non senza botti
e fuochi d''artificio fuori orario) uno si chiede: ma e' possible
che NAPOLI,L'ITALIA, LA POLITICA SAPPIANO SOLO FARE SCHIAMAZZI,
SUBITO DIMENTICATI IN FAVORE DI ALTRI ANCORA PIU' INUTILI E
RUMOROSI???

A che serve agitarsi se non cambia mai niente per il meglio?
A che serve darsi da fare ,indagare,informare,informarsi,se
poi cio' ti produce solo un profondo malessere,un pessimismo
cronico che a nulla serve se non ad avvelenarti la vita,
mentre i migliori se ne vanno e i peggiori restano indisturbati
a fare casini?

E ALLORA IN FONDO IN FONDO PENSI CHE PER FORTUNA C'E' ALLA FINE
DELLA STRADA UN BUCO NERO CHE RUOTA IN ETERNO E TUTTO RISUCCHIA,
ONESTI E MALVAGI,GIORNALISTI SERI E LECCACULI,PERSONE ONESTE E INTRALLAZZATORI,DUCETTI E POVERACCI.

E TI RICHIUDI A GUSCIO E TI LAVI LE MANI DI TUTTO CIO' CHE TI
CIRCONDA SPERANDO SOLO DI RESTARE LUCIDA FINO ALLA FINE.
poi ogni tanto,al mattino il cervello si strizza, il dito scatta
e mentre l'autocompattatore fracassone ripulisce la piazza dei
sacconi neri del sabato,
decidi che anche se tutto e' inutile,se gli italiani hanno la
memoria corta,tu pure sei un testimone e devi testimoniare
la fine di un regno che veste prada, e lascia i neri affamati
per la strada.

domenica 9 gennaio 2011

L' ARTE CHE UCCIDE : Kevin Carter





giovedì 4 giugno 2009
Kevin Carter l'uomo che ha fotografato la morte e ne è stato ucciso:
"quando l'arte ti uccide,ti divora l'anima e te
la restituisce in frammenti impastati di polvere..."

A circa 300 metri dal centro di Ayod,ho incontrato una piccola bambina,ad un passo dallo svenire che cercava di raggiungere un centro di alimentazione.
Lei era cosi debole che che non poteva fare fare piu'di uno o due passi alla volta,traballando,cadendo regolarmente sul sedere,cercava disperatamente di
proteggersi dal sole bruciante e coprendosi la testa con le sue piccole manine scheletriche....
Poi si rimetteva a fatica in piedi per un nuovo tentativo, gemendo dolcemente con la sua piccola voce acuta.Sconvolto io mi nascosi una volta di piu' dietro la meccanica del mio lavoro fotografando i suoi movimenti dolorosi,agonizanti quando la piccola cade nella polvere.
Il mio campo di visione era limitato a quello del mio teleobiettivo e non ho potuto subito accorgermi del volo degli avvoltoi che si avvicinavano fino a che uno
di essi apparve nel mio visore.
Ho scattato e poi ho cacciato l'uccello con un colpo di piede.
Un grido mi straziava, dopo uno o due chilometri dal villaggio scoppia in un pianto disperato.

Kevin Carter annientato dopo l'assassinio del amico reporter Ken Oosterbroek e a causa delle atrocità che ha visto e di cui è stato testimone è precipitato in un gravissima depressione, dopo aver vinto il premio Pulitzer tra critiche feroci sceglie di suicidarsi 27 luglio 1994 nel deserto a bordo della sua vettura.
Art-qui-choque Traduzione di M.Abbatangelo

Kevin Carter 4 Maggio 2010 di ethocracy.net

Può un oggetto essere bello e orrendo allo stesso tempo? Può un’immagine raffigurare l’orrore ed essere dotata di un tremendo fascino ipnotico? Può coniugarsi la potenza di una descrizione con lo smarrimento dello spirito e con la perdita dell’umanità?

Era giovane Kevin, un ragazzo. E come tutti i giovani, sognava di salire sulla vetta del mondo. Ci è pure salito Kevin, in cima al mondo, ma quando si è ritrovato a contemplare, dal silenzio dell’altezza raggiunta, il baratro che lo circondava, specchio infranto del vuoto del suo spirito disperato, non ha resistito ed ha scelto il silenzio; quello assoluto e senza sottintesi della morte. Nella forma che riscatta dai delitti dello spirito o dalle ansie della volontà: il suicidio.

Kevin Carter è stato un giornalista. Il suo giornalismo non era fatto di parole, non dava adito ad interpretazioni e non concedeva nulla ai malintesi. Il suo era il giornalismo fatto con le immagini; quelle che l’obiettivo della sua macchina fotografica riusciva a fissare sull’emulsione della pellicola.
Era giovane, Kevin, l’abbiamo detto. Sudafricano di Johannesburg, nato nel 1960, in pieno regime di “apartheid”.
Ed era stato proprio in questo periodo che il giovane fotografo aveva iniziato a documentare le atrocità che gli uomini, in nome di “ideali superiori”, riuscivano a perpetrare su altri uomini; le brutalità che riuscivano a commettere, spinti più che da nuovi ideali, da antichi odi.
Lavorando al Johannesburg Star, Carter fu il primo a documentare, negli anni ottanta, la “necklacing execution” o supplizio del pneumatico. Una pratica di barbara brutalità con la quale si faceva ardere un pneumatico attorno al collo di un uomo.
Successivamente, sarebbe arrivato a dire di quelle orrende immagini: “Ero sconvolto vedendo cosa stavano facendo. Ero spaventato per quello che io stavo facendo. Ma poi le persone hanno iniziato a parlare di quelle immagini, così ho pensato che forse le mie azioni non fossero poi così cattive. Essere stato un testimone di qualcosa di così orribile non era necessariamente un male.”
Ma non furono queste immagini “urlanti” a determinare la sua fine, bensì un’immagine “silenziosa”. Non con uno schianto finirà il mondo, ma con un lamento, ci ricorda il poeta ed è con un sommesso lamento che è finito il mondo per Kevin Carter.
Probabilmente molti conoscono la foto che ha dato a questo fotografo, sia la fama planetaria che l’impossibilità di continuare a vivere. È una delle più potenti e spiritualmente devastanti immagini che si possano vedere. Una di quelle immagini che non vorremmo mai vedere e che dobbiamo invece vedere e ripassare davanti ai nostri occhi costantemente. Per non dimenticare. Mai.
La foto, scattata nel marzo 1993 in Sudan durante la guerra civile, fa vincere a Carter il Premio Pulitzer nel 1994, ma gli fa anche porre fine alla propria vita, appena tre mesi dopo. Tre mesi, solo in vetta al mondo, contemplando la propria disperata solitudine, raggiunto, nonostante l’altezza, dal biasimo che lo circondava, ma soprattutto da un flebile lamento che gli ricordava, come dice Hillman, che “la maggior parte dell’anima sta fuori dal corpo”. Poi, la fine, il silenzio, la pace per quell’anima sofferente e incapace di ritrovarsi, dopo l’incontro “irrisolto” con una piccola immensa creatura.
Kevin Carter muore suicida e molti interrogativi lo accompagnano nella tomba.
Una piccola bambina prostrata dagli stenti, indifesa, sofferente, rannicchiata su se stessa, presa di mira da un avvoltoio paziente e implacabile, ha fatto il giro del mondo per la sua forza devastante e per le critiche rivolte al suo autore, che è stato a lungo immobile a guardare la scena per scattare la fotografia migliore. Questa piccola splendida creatura è divenuta, per tutti noi, l’incubo diurno, la pasafrasi di un mondo che ha perso i valori della pietà, della compassione.
Si racconta che Carter udì un sommesso piagnucolio e vide una bambina che tentava di arrivare al centro di alimentazione (secondo alcune versioni, distante un chilometro). La inquadrò per fotografarla e nell’inquadratura apparve un avvoltoio. Lentamente, per non disturbare l’uccello, cercò la posizione migliore per scattare la foto. Avrebbe raccontato lui stesso di avere atteso oltre venti minuti, sperando che l’avvoltoio non volasse via. Dopo aver scattato la foto, Carter scacciò l’animale ed abbandonò la bimba al proprio destino.

Il Premio Pulitzer diede a Carter fama mondiale, ma assieme ad essa sarebbero arrivati i fantasmi orrendi del rimorso.
Amici e colleghi si ponevano la fondamentale questione, sulla ragione che aveva impedito al fotografo di dare soccorso alla bimba della foto. “L’uomo che sa solo regolare il suo obiettivo per catturare la migliore inquadratura della sofferenza”, disse il St Petersburg Times, “può solo essere anch’esso un predatore, un altro avvoltoio sulla scena.”
Prostrato dai sensi di colpa e dalla depressione, incapace di ritrovare la propria umanità, Kevin Carter, si ucciderà il 27 luglio del 1994, a trentatre anni.
Lascerà scritto”Sono inseguito dai ricordi delle uccisioni, le torture, l’angoscia, il dolore dei bimbi affamati e feriti…”.
Non c’è alcuna morale in questa storia. Non si può trovare una morale nella cosa più immorale che l’uomo abbia inventato: la guerra. Cerchiamo solo di introdurre spunti di riflessione sui perché delle guerre. Sul perché si vada ancora per il mondo a distribuire dolore e morte e si vogliano spacciare questi crimini contro l’umanità, come “missioni di pace”. Perché si impieghino tecnologie costosissime per dare morte e sofferenza, invece che utilizzarle per portare soccorso agli ultimi, ai prostrati, ai derelitti, ai sofferenti. Perché si investano capitali immensi per creare strumenti di dolore, di sopraffazione, di sterminio. Perché tanta sottile perfidia e tanta sordida ipocrisia.
Era giovane Kevin e non ha avuto il tempo di invecchiare. Ha condiviso il destino della piccola e fragile creatura che ha immortalato in immagine. Forse un gesto, anche piccolo, avrebbe cambiato le sorti di entrambi. Ma l’assurdità della guerra è anche questa.











martedì 28 dicembre 2010





La morte
di Alessandro Bonomi
2 gennaio 2011

Fà impressione la morte,
pensare a chi è alla fine
a chi guarda le porte
dell'ultimo confine
e magari ha ancora voglia
di dire una battuta
di vivere la vita
come va vissuta,

fino in fondo ridendo
di queste belle farse,
delle rappresentazioni
a cui prendiamo parte
come protagonisti ma
anche come comparse
primi nella nostra vita,
passiamo nelle altre

lasciando a volte poco,
soltanto un'emozione
che non ci da diritto
al nome sul cartellone.
Però non c'è un momento
in cui s'inizia a morire
stiamo morendo adesso,
giorno per giono un poco
ma devo confessarvi
che io non ho paura
perchè vedo la morte
come un'altra avventura.

Sandrino Bonomi


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VECCHISSIME PAGINE:
http://lalottadilalla.blogspot.com/2009_09_01_archive.html

sabato 9 gennaio 2010

...........................in memoriam di Rachel Carrie


Name: Rachel Carrie Tribute (for the living)
United States

http://www.rachelcorrie.org/

At the age of 23, Rachel Corrie was full of life. At the age of 23, she was a senior in college ignited by a passion for justice. At the age of 23, she traveled to the Gaza strip as an activist for peace. And, it was at the age of 23 that Rachel Corrie knelt to the ground wearing an orange fluorescent jacket as a 9-ton Caterpillar bulldozer came toward her, knocked her down, crushed her with its blade, ran her over, backed up, and ran her over again.
At the age of 23, Rachel Corrie was loved by family and friends who would never see her radiant life again.
Rachel was killed trying to prevent the demolition of a civilian home by the Israeli army. Thousands of homes had been demolished, and Rachel along with her companions from the International Solidarity Movement were seeking to prevent further destruction. Through non-violence, this group of international activists was following the lead of Palestinians struggling to end the occupation of their lands.

Activists such as Rachel lived in Palestinian homes with Palestinian families hoping to help fend off attacks and destruction. They used their bodies to send a clear message of solidarity and resistance spelled in the alphabet of arms and legs, torsos and necks, hands and feet. It is this unmistakably human language that Rachel chose to speak in the face of machines programmed for death and devastation.

Of course, Rachel was not the first to die from the angel of death demolition policies carried out by Israel in occupied territories. Far from it, Rachel’s life was only one of many cut short by the sword of this oversized angel which feeds at the trough of US aid. Still, Rachel’s death garnered particular attention because US citizens take note when other US citizens die in the jaws of a winged monster who previously flew in other worlds, not ours. The previous victims were darker and of a foreign people. Our moral radar did not extend to their land and hue.

So, Rachel was not singular in her death, but this does not diminish her bravery. Nor should it diminish what her life can mean to us now. On March 16th, it will have been two years from Rachel’s death, and it is on this day that the memory of Rachel’s life can infuse our own lives with humanness. It is on this day that we can realize our world is also the world of Palestinians. It is on this day that we can realize that our world is also the world of Iraqis and Afghanis. It is on this day that we can look past the small horizons of our small worlds and see the stark, chilling reality of a sky filled with angels of death descending again and again, devouring our world, our humanity.

When we see this death-filled sky, we may choose to look away. We may choose to rationalize a way of focusing our vision elsewhere closer to home. We may say to ourselves, “I can do nothing” or “This problem is too big for me.” But, this is why Rachel’s life is yet again so important. Rachel’s life continues to this day to serve as proof that you and I can do something.
Yes, Rachel died in doing something, and we need not seek martyrdom. But, what is important is the manner of Rachel’s life before her death. Rachel died doing something that made her fully alive. As long as you or I believe that we can’t pursue peace and justice, we are only partially alive. We are only partial citizens of the planet. We are only sometimes concerned about some people. We are only sometimes loving and compassionate to some humans. In truth, to be only partially alive is to be one’s own angel of death.
Ultimately, I believe Rachel’s death should not be cause for despair. It should be cause for hope, a hope that each of us can choose to be more fully human despite grim forecasts of probabilities and risks. If we instead remain captive to our doubts and fears, we will only imprison our greatest potential. We will kill our own heroism by handing the keys of fate over to the angels of death.

On March 16th, let us not only remember the life of Rachel Corrie but let us also remember the possibilities of our own life. On March 16th, let us remember that Rachel Corrie at the age of 23 was full of life, a life that can continue to live through us.
(This speech was delivered at a toastmasters club in Berkeley, California. For those living in Berkeley, there will be a celebration of Rachel’s life on March 16th. See www.norcalism.org for details. Brooks Berndt can be reached at brooksberndt2466@yahoo.com .)